Relazione – di Waldimaro Fiorentino, intervento al Convegno SIPS: “Gli Scienziati Italiani per l’Unità e per lo Sviluppo dell’Italia”, Roma, 29 Marzo 2011.

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Il Medioevo è durato oltre 1.000 anni: dalla deposizione dell’ultimo imperatore d’Occidente, nel 476, alla scoperta dell’America 1492;
il Rinascimento poco meno di 300 anni; anzi, per la precisione, 297 anni: dalla scoperta dell’America alla rivoluzione francese;
il Risorgimento è durato un centinaio di anni; tra i 70 ed i 100 anni, a seconda che lo si faccia partire dal 1848 o dal 1813; dunque, è stata l’epoca più breve della storia d’Italia; ma certo la più intensa; e produsse un’onda lunga, che si protrasse sino alla soglia degli anni Sessanta del 1900.
Lo fu anche per la scienza in una Italia, che, a dispetto della più diffusa convinzione, in questo ambito ha manifestato espressioni di eccezionale ricchezza in ogni epoca, annoverando invenzioni e scoperte di portata epocale e oltre 5 mila scienziati, pur non citando figure emblematiche ed universali della scienza, come Leonardo da Vinci e Galileo Galilei.
Prima di entrare nel tema centrale della conversazione, ricordo,  per non citarne che qualcuno soltanto, i nomi di Leonardo Fibonacci, che diede vita, tra l’atro, ai numeri così come tutto il mondo oggi li conosce, e di Giovanni Caramuel, il quale, nel 1670, espresse per primo il calcolo binario, sul quale si fonda tanta parte dell’attività attuale in tutto il mondo. Cito appena le grandi conquiste italiane nella medicina: dalla Scuola medica salernitana, che espresse le prime donne medico nella storia dell’umanità, ai grandi nomi che durante i secoli hanno illustrato l’arte medica: da Girolamo Fracastoro, creatore della moderna patologia; ad Andrea Cesalpino, che studiò per primo la circolazione del sangue e pose il cuore al centro del sistema ematico; Marcello Malpighi, che descrisse in maniera sistematica, grazie al microscopio, la struttura dei polmoni; a Giorgio Baglivi, definito l’ippocrate italiano; a Giacinto Vincenzo Malacarne, che fornì la prima dettagliata descrizione del cervelletto. E qui mi fermo, per passare al tema centrale: gli scienziati italiani nel nostro Risorgimento.
La gamma dei personaggi che, nel Risorgimento, furono insieme scienziati e patrioti è talmente ampio da consentirmi soltanto una panoramica molto succinta e nemmeno completa dei tanti grandi che contribuirono a fare la storia d’Italia, in ogni sua regione.
Ricordo Luca de Samuele Cagnazzi, di Altamura, in provincia di Bari; religioso, che fu tra i maggiori enciclopedisti del suo tempo; matematico, economista, geologo, archeologo, teologo, botanico; creatore in Italia della scienza statistica; inventore del tonografo, anticipatore del fonografo. Fu esiliato e poi condannato. Presidente dell’effimero Parlamento borbonico sciolto dalla forza pubblica il 15 maggio 1848; morì per un malore, nel 1852, all’età di 88, durante il processo, con il quale si intendeva condannarlo a morte.
Quirico Filipanti, pseudonimo di Giuseppe Barilli, nativo di Budrio, in provincia di Bologna, creatore dei fusi orari; volontario nella prima guerra di indipendenza, segretario nel Triunvirato della Repubblica romana nel 1849, combattente con Garibaldi nel 1866-67, deputato nel Parlamento italiano per 5 Legislature, sedette all’estrema sinistra e dichiarò di sognare per l’Italia una repubblica presieduta da un Savoia. Fu docente universitario nello Stato pontificio, sollevato dall’incarico per motivi politici, e nel Regno d’Italia, dimettendosi per non prestare il giuramento di fedeltà al Re; e si dedicò gratuitamente alla formazione culturale dei ceti popolari.
Antonio Meucci, nativo di Firenze, esiliato dal Granducato di Toscana, operò a Cuba, prima di creare negli Stati Uniti una fabbrica di candele, nella quale occupò per tre anni il profugo Giuseppe Garibaldi e di là inviò spesso finanziamenti per la causa dell’unità d’Italia. Tra Cuba e Stati Uniti, Meucci diede vita al telefono quando il trafugatore della sua invenzione – Graham Bell – aveva solo 2 anni.
Competitore di Meucci, con il quale fu in corrispondenza, fu Innocenzo Manzetti, di Aosta, il quale, attorno al 1848, all’età di 22 anni, creò un robot dotato di voce ed in grado di suonare il flauto; una invenzione straordinaria, primo motore pneumatico al mondo.
Giovanni Caselli, abate e fisico nato a Siena e trasferitosi a Parma, nel 1854, inventò e creò il pantelegrafo, progenitore del Fax; esiliato, produsse la sua invenzione in Francia, con una ditta, le cui azioni pretese venissero stampate in lingua italiana.
In quello stesso anno, presentata nel 1856, all’Esposizione industriale di Novara, nacque la macchina da scrivere, ad opera di Giuseppe Ravizza, giureconsulto e notaio con la passione per il pianoforte, che denominò «cembalo scrivano». Come Meucci e tanti altri italiani venne scippato; a farlo furono gli statunitensi Sholes e Remington.
Carlo Forlanini, milanese, fu l’inventore del pneumatorace artificale e, per questo, due volte candidato al Premio Nobel. Nel 1865, all’età di 18 anni, fu tra le camicie rosse di Garibaldi; e, successivamente, sotto il comando del generale Lamarmora, partecipò a varie battaglie, tra cui, nel 1866, quella vittoriosa di Bezzecca.
Suo fratello – Enrico Forlanini – frequentò l’Accademia militare di Torino; poi, ne uscì e si dedicò alla ricerca. Nel 1877, fece per primo levare in volo un mezzo più pesante dell’aria, inventando l’elicottero; avrebbe anche rivoluzionato e reso più veloci e sicuri i palloni aerostatici e dato vita all’aliscafo; Alexander Graham Bell, l’usurpatore dell’invenzione di Meucci, venne in Italia per acquistarne il brevetto.
Camillo Golgi, della Val Camonica, nel Bresciano, fu il primo italiano ad ottenere il premio Nobel; gli venne conferito nel 1906; lo stesso anno anno in cui lo ottenne Giosué Carducci. Camillo Golgi, grande istologo, lo meritò per la medicina, grazie alla scoperta della «reazione nera», denominata anche «colorazione cromo-argentica» o «metodo di Golgi», che permetteva di colorare selettivamente le cellule nervose e la loro struttura organizzata. Camillo Golgi rischiò di dover interrompere gli studi perché espulso nel 1859 dal ginnasio-liceo di Pavia, per essere scoppiato in una fragorosa risata all’affermazione di un suo professore secondo il quale il non studiare bene il tedesco doveva essere considerato antipatriottico.
Il parmense Macedonio Melloni, portato in trionfo dai suoi studenti durante i moti del 1831 e chiamato a far parte del Governo provvisorio del Ducato di Parma, studiò l’energia raggiante e quella della luna dal punto di vista termico ed effettuò ricerche su rugiada, igrometri e l’origine dei venti.
Il bresciano Gustavo Bucchia fu tra i primi in Italia a progettare e costruire ponti in metallo. Nel 1848, si pose alla guida di una legione composta dai suoi allievi e con essi combatté nelle battaglie attorno a Padova e Vicenza e cooperò alla difesa di Venezia come ufficiale del genio. L’Austria gli tolse la cattedra all’Università di Padova.
Prese parte alla difesa di Venezia anche Luigi Cremona, di Pavia, che fu tra i fondatori della statica grafica e che pose le basi della geometria algebrica.
Partecipò alla difesa di Venezia anche Pietro Paleocapa nato in provincia di Bergamo, principe dell’idraulica e realizzatore della rete ferroviaria del Piemonte; progettò il traforo del Frejus, realizzò opere anche in Ungheria e Transilvania; gli fu affidata la guida dei lavori per il canale di Suez, nonostante il Piemonte fosse il Paese meno importante tra quelli impegnati nella realizzazione dell’opera; fu ministro dei lavori pubblici e Cavour insistette per averlo ministro anche dopo che lui era divenuto ormai quasi cieco.
Francesco Selmi, nato a Vignola, in provincia di Modena, è il fondatore della moderna tossicologia forense; promosse la sollevazione del Ducato di Modena e Reggio e, per questo, venne condannato a morte dal Duca di Modena; nel 1859, fece parte della delegazione che, insieme a Giuseppe Verdi, rappresentante di Parma, portò a Torino i risultati dei Plebisciti di adesione al Piemonte.
Faustino Malaguti, nato nel Bolognese, definito dai francesi «principe dei chimici italiani», collaboratore di Gay-Lussac e tra i primi al mondo ad applicare la chimica all’agricoltura. La sua passione patriottica gli provocò l’espulsione dallo Stato pontificio.
Stanislao Canizzaro, palermitano, chimico di valore tale che con il suo nome è stato chiamato un cratere sulla luna; dettò il metodo più adatto per la determinazione del peso atomico degli elementi. Creò la Scuola chimica di San Lorenzo in Panisperna; con l’autorevolezza del suo sapere, portò ad insegnare all’Università di Palermo grandi chimici come il viennese Adolf Lieben ed i tedeschi Wilhelm Körner ed Hugo Josef Schiff; questi ultimi due, anche per suo merito, furono tanto attratti dal nostro Paese, da rinunciare alla cittadinanza germanica per chiedere ed ottenere quella italiana, modificando anche i rispettivi nomi di battesimo. Prese parte alla rivoluzione siciliana del 1848 e venne per questo condannato a morte dal governo borbonico. Fu nominato Senatore del Regno d’Italia, di cui divenne anche vicepresidente.
Ottavio Fabrizio Mossotti, di Novara, grande matematico, fisico, topografo, astronomo, metereologo; l’Austria lo fece licenziare dallo Stato pontificio, che però lo indennizzò congruamente. Operò oltre che in Italia, a Londra, in Svizzera, fu professore all’Università di Buenos Aires e all’Università Jonia di Corfù; fu tra i fondatori della Scuola matematica di Pisa e autore di studi fondamentali, tra cui quello per la determinazione delle orbiti celesti e quelli sul moto dei corpi elastici e delle interazioni molecolari. Fu scienziato di tale valore che al suo nome è dedicato un asteroide; è ricordato con una importante scultura nel Camposanto monumentale di Pisa.
All’età veneranda per quei tempi di 57 anni non volle lasciar partire da soli per la prima guerra di Indipendenza i suoi studenti, che lo nominarono maggiore; ed il 29 maggio 1848, nella battaglia di Curtatone e Montanara, poco più di 5.000 toscani del battaglione universitario pisano tennero testa per più di 6 ore a 15 mila austriaci con 24 pezzi di artiglieria e 4 mila uomini di riserva.
Quando morì volle che sulla bara venisse posta la divisa da lui indossata in quell’epica battaglia.
A Curtatone e Montanara, il 29 maggio 1848, morì il capitano dei volontari toscani Leopoldo Pilla, professore dell'Università di Pisa e geologo di fama internazionale; venne centrato in pieno da un colpo dell’artiglieria austriaca ed il suo corpo non venne più trovato.
Per Curtatone e Montanara, con il grado di capitano, partì anche Raffaele Piria, nato a Scilla, in Calabria, inventore della medicina più impiegata al mondo: l’aspirina.
Nel 1848 scrisse: «Io amo, ho amato sempre la causa italiana e sono disposto a qualunque sacrificio».
Raffaele Piria venne nominato, dopo la caduta dei Borbone, ministro dell’istruzione nello Stato delle Due Sicilie; dal governo piemontese fu inviato nel Meridione per preparare i plebisciti. Da Vittorio Emanuele II fu nominato Senatore del Regno e prese parte attiva alla vita politica, presentando un progetto di riordino della legge sulle pensioni, sostenendo la richiesta di Roma capitale ed impegnandosi nella lotta contro la camorra.
Il vercellese Galileo Ferraris, inventore del «campo rotante» e di un «motore asincrono» in grado di funzionare sia come motore che come contatore di energia elettrica, affermò: «La scienza ha ideali più alti dell’utile materiale… Vi sono scoperte che non possono essere proprietà di uno solo, perché appartengono al progresso dell’umanità»; e al Consigliere delegato di una grande società americana che gli offriva un vistosissimo assegno per lo struttamento della sua scoperta, rispose sorridendo: «Faccio il professore, non l’industriale».
Quando la scienza confina con la poesia!
Francesco Savorgnan di Brazzà scrisse che Galileo Ferraris «della scienza aveva fatto un altare».
Salto, per ragioni di brevità, tanti altri meritevoli di menzione; e cito qualcuno soltanto dei più recenti ricercatori usciti dall’onda lunga della sintonia tra scienza e passione risorgimentale.
Ricordo Gaetano Perusini, di Udine; lavorava a Monaco di Baviera insieme ad Alois Alzheimer, cui indicò il riconoscimento dei caratteri della malattia che ha preso il nome di quest’ultimo, ma che spetta in misura non inferiore a Gaetano Perusini, il quale, allo scoppio della quarta guerra d’indipendenza, nonostante l’Italia non fosse in guerra con la Germania, volle rientrare in Italia per mettersi a disposizione del suo Paese. Morì all’età di 36 anni, l’8 dicembre 1915, mentre stava operando in un ospedale da campo a pochi metri dal Fronte, centrato da una granata; venne decorato di medaglia d’argento al valor militare.
Vito Volterra, geniale matematico che a 13 anni calcolò la traiettoria di un proiettile dalla terra alla luna, sotto gli effetti del calcolo gravitazionale; fu tra i fondatori dell’analisi funzionale e della connessa teoria delle equazioni integrali; a lui si deve la nascita del CNR. Allo scoppio della prima guerra mondiale, nonostante avesse ormai 50 anni, si arruolò volontario. Nel 1932, venne sollevato dall’insegnamento universitario, in quanto fu uno dei 12 professori che rifiutarono di giurare fedeltà al regime fascista; successivamente, nonostante fosse Senatore del Regno, subì i rigori delle Leggi razziali.
Luigi Stipa si arruolò tra i bersaglieri nella quarta guerra di indipendenza; non aveva ancora 21 anni quando venne eletto ad Appignano del Tronto, più giovane sindaco d’Italia. Diede vita al primo aereo a reazione al mondo e nel 1935 ebbe il coraggio intentare causa a Benito Mussolini. Dopo l’8 settembre 1943, entrò nella Resistenza.
Gugliemo Marconi, il quale, nel 1930, al Congresso della Sips di Bolzano e Trento, pur in pieno fascismo, presentò la radio, come «certo destinata al bene generale col promuovere la reciproca conoscenza tra i popoli, favorendo in tal modo la pace».
Civiltà della scienza!
Ad anticipare quella fase della nostra storia fu la nascita di due Accademie:
- l’«Accademia del Cimento», fondata nel 1657 a Firenze da Leopoldo II de’ Medici, che aveva come motto: «provare e riprovare», a sottolineare come alla base delle conquiste scientifiche fossero l’applicazione e la tenacia;
- e la Reale Accademia delle Scienze di Torino, istituita un secolo più tardi, nel 1757, da Vittorio Amedeo III di Savoia, con la funzione, come si leggeva all’articolo 3 del Regolamento, di approfondire i vari campi dello scibile, ma soprattutto diretti «all’acquisto di nuove utili cognizioni e a procurare qualche vantaggio alla comune società», intento ben espresso nel motto «Veritas et Utilitas», che compare nel suo sigillo.
Queste due Accademie anticiparono la nascita della Sips, la Società italiana per il progresso delle scienze, nata, su suggerimento del grande Stanislao Cannizzaro, con tre scopi principali:
1) creare una collaborazione tra gli scienziati italiani, di modo da passare dalla ricerca isolata alla ricerca di sistema;
2) valorizzare la cultura scientifica in un Paese sino ad allora conosciuto più per la sua creatività umanistica;
3) diffondere nel Paese la cultura scientifica; per questo, sin dalla sua nascita, la Sips prese a tenere i propri Congressi ogni anno in una diversa città, anche nelle piccole località. Tra l’altro, nel novembre 1936, tenne la sua assisa a Tripoli, in Libia.
Della Sips parlerà più compiutamente l’illustre professor Carlo Bernardini.
Gli scienziati italiani che animarono il nostro Risorgimento non vennero meno ai canoni loro impartiti dalle nostre grandi società scientifiche; e, rispecchiando il clima dell’epoca, furono insieme scienziati e patrioti; alcuni oggi assolutamente dimenticati, ma che mi sembra giusto richiamare alla comune memoria, anche perché furono italiane alcune delle più grandi scoperte scientifiche a cavallo tra il 19° ed il 20° secolo.
L’Italia risorgimentale, con Luigi Federico Menabrea, conosciuto al massimo come generale, ma che fu anche ingegnere, scienziato, docente del Politecnico di Torino e primo ministro del Regno d’Italia, mise in funzione nel nostro Paese la prima macchina analitica del mondo, alla quale lavorò anche la figlia del poeta inglese Byron.
Il Parlamento del Regno d’Italia fu la prima istituzione al mondo ad introdurre, nel 1881, l’impiego della stenotipia, che fu inventata in Italia dal piemontese Antonio Michela.
Nel 1902, Milano, ad opera dell’uomo d’affari Ferdinando Bocconi, che intendeva così onorare la memoria del figlio Luigi, caduto nella battaglia di Adua, vide sorgere l'Università Bocconi, primo Ateneo privato dell’Italia moderna e prima Università a introdurre in Italia la laurea in Economia.
Nel 1910, nella fase conclusiva del Risorgimento, in applicazione degli studi di Bernardo Ramazzini, l’Italia a Milano, con 20 anni d’anticipo su ogni altro Paese del mondo intero, vide sorgere la prima Clinica di Medicina del Lavoro.
La Scuola medica di Torino fu di tale livello, che, negli anni Trenta, da uno stesso corso di Giuseppe Levi, uscirono ben 3 Premi Nobel: Salvatore Luria (1969, batteriofagi), Renato Dulbecco (1974, genetica virale) e Rita Levi Montalcini (1986, fattore di crescita delle cellule nervose).
Dunque, grande espressione non soltanto di genialità e di creatività scientifica, ma anche di capacità di essere sistema; cosa che ci viene oggi contestata, mentre non lo fu fino agli anni Cinquanta, al punto che lo svizzero Daniel Bovet si fece italiano; e come italiano ottenne nel 1957 il Premio Nobel per gli studi sul curaro sintetico. Bovet sposò Filomena, figlia dell’ex presidente del consiglio italiano Francesco Saverio Nitti.
La scienza affascinò e conquistò anche l’arte; e grandi artisti si dimostrarono spesso eccitati dai progressi della scienza.
Nel 1899, quando a Como, si celebrò il centenario della scoperta di Alessandro Volta, Giacomo Puccini compose per l’evento una gioiosa ed intensa marcetta dal titolo «scossa elettrica».
Nel 1881, a La Scala di Milano Luigi Manzotti, per la musica di Romualdo Marenco aveva messo in scena l’azione coreografica «Excelsior», che celebrava la vittoria del progresso scientifico sull’oscurantismo.
Riccardo Zandonai, su testo di Giuseppe Adami, musicò «La Cinquecentonove», pubblicità della nuova auto della Fiat; la prima pubblicità sonora, per la radio nata da poco; omaggio a due creazioni della scienza; e successivamente la marcia «Telefunken».
Ruggero Leoncavallo, ne «La reginetta delle rose», musicò «Il duettino del telefono».
Pietro Mascagni, nel suo «Sì», musicò diversi passaggi relativi ad innovazioni scientifiche, con passagi persino enfatici: «la luce elettrica rimpiazza il sol!»; ed altrettanto fecero diversi altri nostri musicisti.
I detrattori sostengono che con il Risorgimento cominciarono per l’Italia le grandi emigrazioni. Non è vero, perché si emigrava anche prima; solo che non se ne tenevano le statistiche. È vero piuttosto che allora emigravano soprattutto i disperati; oggi emigrano i laureati ed i ricercatori, il cui numero, secondo dati ufficiali, è quadruplicato dal 1990 al 1999, con un costo spaventosamente elevato.
Secondo l’Organizzazione mondiale per la proprietà intellettuale, il 35% dei 500 migliori ricercatori italiani nei principali settori di ricerca ha abbandonato il Paese; e, negli ultimi 20 anni, l’Italia ha perso quasi 4 miliardi di euro, solo tenendo conto del ricavato dal deposito di 155 domande di brevetto, dei quali l’inventore principale è nella lista dei 20 più importanti italiani all’estero.
Il confronto tra l’epoca passata e quella presente spiega perché il Risorgimento fu epoca di crescita e quella presente impone esigenze di recupero persino tragiche; perché una società non cresce, se non c’è crescita del sapere scientifico; ed è responsabilità che spetta all’Ente pubblico, ma che non esime il privato, che ne diviene il diretto beneficiario.
Penso a quale vantaggio ha tratto una grande industria italiana grazie alla fiducia manifestata nei confronti di Giulio Natta, il quale, nel 1963, ottenne il Premio Nobel per la Chimica per l’invenzione del polipropilene, definita dalle «conseguenze scientifiche e tecniche immense… che ancora non possono essere valutate pienamente».
Il Convegno che la Sips ha organizzato oggi, dunque, ha carattere rievocativo; ma si tratta di rievocazione che intende suggerire riflessioni; ed alimentare fiducia ed impegno in forme di attenzione che sono nell’interesse del Paese; soprattutto delle giovani generazioni.